Ricorso  proposto  dalla  Regione  Campania  (codice  fiscale  n.
80011990636), in persona del Presidente della  Giunta  regionale  pro
tempore, On. Dott. Stefano Caldoro, rappresentata e difesa, ai  sensi
della delibera della Giunta regionale n. 50  del  13  febbraio  2015,
giusta  procura  a  margine   del   presente   atto,   unitamente   e
disgiuntamente,  dagli   Avv.ti   Maria   D'Elia   (codice   fiscale:
DLEMRA53H42F839H) e Almerina Bove (codice fiscale:  BVOLRN70C46I262Z)
dell'Avvocatura regionale, e dal prof.  Avv.  Beniamino  Caravita  di
Toritto (codice  fiscale:  CRVBMN54D19H501A),  del  libero  foro,  ed
elettivamente domiciliata presso l'Ufficio  di  rappresentanza  della
Regione Campania sito in Roma alla via Poli n. 29 (fax:  06/42001646;
pec abilitata: cdta@legalmail.it); 
    Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro  tempore  per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1,  commi
122, 202, 224, 421, 422, 427, 552, lett. b), 554 e 580 della legge 23
dicembre 2014,  n.  190,  avente  ad  oggetto  "Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita'  2015)",  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  -  Serie
Generale, n. 300 del 29 dicembre 2014, per violazione degli  articoli
5, 114, 117, secondo, terzo, quarto e sesto comma, 118,  119,  primo,
quarto e quinto comma, 120, e 3 e 97 della Costituzione. 
 
                                Fatto 
 
    Con l'art. 1, della  legge  n.  190  del  29  dicembre  2014,  il
Parlamento ha adottato "Disposizioni per la formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato", ovvero  la  legge  di  stabilita'
2015, la quale, tuttavia, reca alcune disposizioni gravemente  lesive
dell'autonomia regionale. 
    In particolare, per quanto qui di interesse,  il  comma  122  del
predetto art. 1 - che presenta  criticita'  analoghe  a  quelle  gia'
evidenziate  con  riferimento  all'impugnativa  della  Regione  degli
articoli 18 e 19 del D.L. n. 91/2014 (r.r. n. 86/2014) - dispone, del
tutto illegittimamente, che al finanziamento degli incentivi  di  cui
ai commi 118 e 121 - relativi a contributi previdenziali a carico dei
datori di lavoro - si provveda, quanto  a  1  miliardo  di  euro  per
ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e a 500  milioni  di  euro  per
l'anno 2018, a valere  sulle  risorse  del  Fondo  di  rotazione  per
l'attuazione  delle  politiche  comunitarie  di  cui  alla  legge  n.
183/1987 gia' destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione,
che risultino non ancora impegnate alla data del 30 settembre 2014. 
    Il comma 202 detta poi disposizioni per  la  realizzazione  delle
azioni relative al piano straordinario per la promozione del made  in
Italy e l'attrazione degli investimenti in Italia di cui all'art. 30,
comma 1, del  D.L.  n.  133/2014.  Tale  disposizione  stabilisce  lo
stanziamento, nell'ambito dello stato  di  previsione  del  Ministero
dello sviluppo economico, di ulteriori 130 milioni di euro per l'anno
2015, 50 milioni per l'anno 2016 e 40 milioni  per  l'anno  2017,  da
assegnare  all'ICE  -  Agenzia  per  la   promozione   all'estero   e
l'internazionalizzazione delle imprese italiane. 
    Ancora, la norma censurata prevede, per  la  realizzazione  delle
azioni di cui al citato art.  30,  D.L.  n.  133/2014  relative  alla
valorizzazione  e  alla  promozione  delle  produzioni   agricole   e
agroalimentari italiane nell'ambito del piano di cui al medesimo art.
30, l'istituzione del Fondo per le politiche per  la  valorizzazione,
la promozione, la tutela, in Italia e all'estero, delle imprese e dei
prodotti agroalimentari, con una dotazione iniziale di 6  milioni  di
euro. Sempre per la realizzazione delle menzionate azioni,  il  comma
202 prevede poi che una quota delle risorse stanziate per  l'ICE  sia
destinata  all'Associazione  delle  camere  di   commercio   italiane
all'estero,    e    un'ulteriore    quota     ai     consorzi     per
l'internazionalizzazione previsti dall'art. 42  e  ss.  del  D.L.  n.
83/2012 "per il sostegno alle piccole e  medie  imprese  nei  mercati
esteri e la diffusione internazionale dei  loro  prodotti  e  servizi
nonche' per incrementare la presenza e la conoscenza delle autentiche
produzioni  italiane  presso  i  mercati  e  presso   i   consumatori
internazionali, al  fine  di  contrastare  il  fenomeno  dell'Italian
sounding  e  della   contraffazione   dei   prodotti   agroalimentari
italiani". 
    I successivi commi 223 e 224 contengono disposizioni  in  materia
di trasporto pubblico locale. In particolare, il comma 223 stabilisce
che le risorse di cui all'art. 1, comma 83, della legge n.  147/2013,
finalizzate  a  favorire  il  rinnovo  dei   parchi   automobilistici
destinati ai servizi di trasporto regionale  e  interregionale,  sono
destinate   all'acquisto   di   materiale    rotabile    su    gomma.
Conseguentemente ed  in  modo  del  tutto  lesivo  delle  prerogative
regionali, il comma 224 stabilisce  che  con  decreto  del  Ministero
delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto  con  il  Ministero
dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato - Regioni,
sono stabilite le modalita' di attuazione dei commi 223 e  227  e  la
ripartizione delle risorse su base regionale secondo  i  criteri  ivi
indicati. 
    Sotto diverso profilo, i commi da 421 a 428 dell'art.  1,  l.  n.
190/2014  disciplinano  la  progressiva  riduzione  della  spesa  dei
personale sostenuta da province e  citta'  metropolitane,  attraverso
una   ricollocazione   del   personale   in   mobilita'   presso   le
amministrazioni  titolari  delle   funzioni   non   fondamentali   in
attuazione  della  legge  n.  56/2014  e  in  altre   amministrazioni
pubbliche. 
    A tal proposito, il comma 421 prevede che la  dotazione  organica
delle citta' metropolitane e delle province delle regioni  a  statuto
ordinario e' stabilita, a  decorrere  dall'entrata  in  vigore  della
legge di stabilita' (1° gennaio 2015), in misura pari alla spesa  del
personale di ruolo alla data di entrata  in  vigore  della  legge  n.
56/2014,  ridotta,  rispettivamente,  tenuto  conto  delle   funzioni
attribuite ai predetti enti dalla medesima legge  n.  56,  in  misura
pari al 30 e al 50 per cento. 
    Ai sensi del comma 422, tenuto conto del procedimento di riordino
delle funzioni di cui alla citata legge n. 56/2014,  e'  individuato,
entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge,  il
personale che rimane assegnato agli enti di cui al  precedente  comma
421 e quello da destinare alle procedure di mobilita',  nel  rispetto
delle forme di  partecipazione  sindacale  previste  dalla  normativa
vigente. 
    Infine, il comma 427 precisa che, nelle  more  della  conclusione
delle procedure di mobilita' di  cui  ai  commi  da  421  a  428,  il
relativo personale rimane in servizio presso le citta'  metropolitane
e le province con possibilita' di avvalimento da parte delle  regioni
e degli enti locali,  attraverso  apposite  convenzioni  che  tengano
conto del riordino delle funzioni e  con  oneri  a  carico  dell'ente
utilizzatore. A conclusione del processo di riallocazione di  cui  ai
commi da 421 e 425, continua erroneamente la norma, le  regioni  e  i
comuni, in caso di delega o di altre forme, anche  convenzionali,  di
affidamento di funzioni agli enti di cui al comma 421 o ad altri enti
locali,  dispongono  contestualmente  l'assegnazione   del   relativo
personale con oneri a carico dell'ente delegante e affidante,  previa
convenzione con gli enti destinatari. 
    Sotto profilo ancora ulteriore,  il  comma  554,  sostituisce  il
comma 1-bis, dell'art. 38, del  D.L.  n.  133/2014  ("Misure  per  la
valorizzazione delle risorse  energetiche  nazionali")  gia'  oggetto
dell'impugnativa della Regione Campania (r.r. n. 13/2015), prevedendo
che "Il piano, per le attivita' sulla terraferma, e' adottato  previa
intesa  con   la   Conferenza   unificata".   Tuttavia,   del   tutto
illegittimamente, il comma prosegue statuendo che in caso di  mancato
raggiungimento dell'intesa, si  provvede  con  le  modalita'  di  cui
all'art. 1, comma 8-bis, della l. n. 239 del 2004, secondo  il  quale
"in caso  di  mancata  espressione  da  parte  delle  amministrazioni
regionali degli atti di assenso o di intesa [...] entro il termine di
150 giorni dalla richiesta  [...],  il  MISE  invita  le  medesime  a
provvedere entro un termine  non  superiore  a  30  giorni.  In  caso
ulteriore  inerzia   da   parte   delle   amministrazioni   regionali
interessate, lo stesso ministero rimette gli atti alla presidenza del
consiglio dei ministri, la quale, entro 60 giorni  dalla  remissione,
provvede in merito con la partecipazione della regione interessato". 
    Censure analoghe possono essere sollevate con riguardo  al  comma
552, lett. b), che introduce il comma 3-bis, all'art. 57, del D.L. n.
5/2015. Il predetto comma disciplina  il  caso  in  cui  non  vengano
raggiunte  le  intese  con  le  regioni  interessate  relative   alle
autorizzazioni  per   le   infrastrutture   energetiche   strategiche
rilasciate dal Ministero dello sviluppo economico, stabilendo che  in
tale circostanza "si provvede con le modalita'  di  cui  all'art.  1,
comma 8-bis, della legge n. 239/2004, nonche' con le modalita' di cui
all'art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241/1990". 
    Da ultimo, viene in rilievo il comma  580,  dell'art.  1,  L.  n.
190/2014. In particolare, il precedente  comma  579  prevede  che  le
regioni e le province provvedano alla costituzione dei  nuovi  organi
degli istituti zooprofilattici sperimentali entro il termine  di  sei
mesi dalla data  di  entrata  in  vigore  delle  leggi  regionali  di
riordino degli istituti, adottate in applicazione dell'art. 10, comma
1, del D.L. n. 106/2012. Il citato comma 580 stabilisce poi  che,  in
caso di mancato rispetto del termine  sopra  riportato,  il  Ministro
della salute provveda alla nomina di un commissarioad acta. 
    Le richiamate disposizioni della legge n. 190 del 2014  risultano
gravemente lesive delle  prerogative  della  Regione  ricorrente,  in
quanto viziate  da  manifesta  illegittimita'  costituzionale  per  i
seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
1. Illegittimita' dell'art. 1, comma 122, della l. n. 190  del  2014,
per contrasto con l'art. 119, quinto comma, Cost. 
    Come visto nella parte in "fatto", l'art. 1, comma 122, della  l.
n. 190/2014 prevede che al finanziamento degli incentivi previsti dai
commi 118 e 121 si provveda a  valere  sulle  risorse  del  Fondo  di
rotazione  per  l'attuazione  delle  politiche  comunitarie  (l.   n.
183/1987) gia' destinate agli interventi del  Piano  Azione  Coesione
che non risultino ancora impegnate alla data del 30 settembre 2014. 
    In via preliminare, occorre evidenziare come le  disposizioni  di
cui al citato comma presentino  criticita'  analoghe  a  quelle  gia'
evidenziate dalla Regione Campania con riferimento agli  articoli  18
comma 9 e 19 comma 3, lett. a) del  D.L.  n.  91/2014,  nonche'  agli
articoli 3 comma 4 lett. f) e 7, comma 9-septies del D.L. n. 133/2014
(r.r. n. 86/2014 e 13/2015). 
    Ebbene, in assenza di ogni indice da cui possa desumersi  che  le
risorse  indicate  siano  esclusivamente  indirizzate  a  favore  dei
medesimi territori sottoutilizzati gia' destinatari degli  interventi
del Piano azione e coesione, il comma censurato  si  pone  in  aperta
violazione dell'art. 119, quinto comma, Cost. 
    Il piano sopra  menzionato  si  inserisce,  infatti,  all'interno
della piu'  generale  politica  di  Azione  e  Coesione  comunitaria,
finalizzata  a  ridurre  le  disparita'  in   materia   di   sviluppo
socioeconomico fra le varie Regioni europee, promuovendo la  crescita
di quelle meno favorite.  L'azione  intrapresa  dalla  Comunita'  nel
campo della politica regionale  trova  il  suo  fondamento  giuridico
negli  artt.  158-162  contenuti  nel  titolo   XVII   del   Trattato
istitutivo. In particolare, l'art. 158, dopo aver  affermato  che  la
Comunita' per promuovere una  crescita  armoniosa  del  suo  insieme,
sviluppa e prosegue la propria azione  intesa  a  rafforzare  la  sua
coesione economica e sociale, chiarisce che la stessa Comunita' "mira
a ridurre il divario fra  le  diverse  regioni  e  il  ritardo  delle
regioni meno favorite". 
    Gli Stati membri hanno dunque l'obbligo di condurre e  coordinare
la loro politica economica indirizzandola ad uno sviluppo equilibrato
dell'intera  Comunita',   mentre   quest'ultima   contribuisce   alla
realizzazione di tale obiettivo attraverso l'utilizzazione coordinata
dei suoi vari fondi e strumenti finanziari. 
    Come noto, la politica di  coesione  e'  ripartita  in  cicli  di
programmazione della durata di sette anni, e si fonda  sul  principio
di solidarieta' che e' alle radici dell'Unione europea. 
    Uno dei principali strumenti di attuazione di tale  politica  nel
nostro ordinamento si rinviene pertanto nel Fondo per lo  sviluppo  e
la coesione - precedentemente Fondo  aree  sottoutilizzate  istituito
con l'art. 61, della l. n. 289/2002 (legge finanziaria 2003) e  cosi'
rinominato ai sensi dell'art. 4, del d.lgs. n. 88/2011 - nel quale, a
decorrere dal 2003, confluiscono le risorse destinate agli interventi
nelle  aree  sottoutilizzate  e  sono  iscritte  tutte   le   risorse
aggiuntive nazionali, destinate a finalita' di riequilibrio economico
e sociale. 
    Tale fondo rinviene la propria ratio e disciplina nell'art.  119,
comma 5, Cost., in virtu' del quale gli interventi perequativi  degli
squilibri economici in  ambito  regionale  devono  garantire  risorse
aggiuntive rispetto a quelle ordinarie ed essere rivolti a favore  di
aree territoriali determinate in base a criteri  di  differenziazione
regionale (cosi' Corte cost., sent. n. 46/2013 e 284/2009). 
    Orbene, la legge n. 147 del 2013 (legge di  stabilita'  2014)  ha
disposto, all'art. 1, comma 6,  che  "In  attuazione  dell'art.  119,
quinto comma, della Costituzione e in coerenza con le disposizioni di
cui all'art. 5, comma 2, del decreto legislativo 31 maggio  2011,  n.
88, la dotazione aggiuntiva del Fondo per lo sviluppo e  la  coesione
e' determinata, per il periodo di programmazione 2014/2020, in 54.810
milioni di euro. Il complesso delle risorse e' destinato a  sostenere
esclusivamente  interventi  per  lo   sviluppo,   anche   di   natura
ambientale, secondo la chiave di riparto 80 per cento nelle aree  del
Mezzogiorno e 20  per  cento  nelle  aree  del  Centro-Nord.  Con  la
presente legge si dispone l'iscrizione in bilancio dell'80 per  cento
del predetto importo secondo la seguente  articolazione  annuale:  50
milioni per l'anno 2014, 500 milioni per l'anno 2015,  1.000  milioni
per l'anno  2016;  per  gli  anni  successivi  la  quota  annuale  e'
determinata ai sensi dell'art. 11, comma 3, lettera e),  della  legge
31 dicembre 2009, n. 196". 
    Sempre nell'ottica della Politica di Coesione e sulla base  delle
menzionate previsioni, il Governo ha poi  presentato  alle  autorita'
dell'Unione europea - secondo quanto previsto dal Regolamento  UE  n.
1303/2013 di disciplina  dei  Fondi  strutturali  -  la  proposta  di
Accordo di partenariato per il periodo di  programmazione  2014/2020,
dapprima in versione provvisoria  (nel  mese  di  dicembre  2013),  e
quindi nel testo definitivo, in data 24 aprile 2014. 
    Sul testo di tale Accordo - che definisce, a livello di  ciascuno
Stato membro, i fabbisogni di sviluppo, gli obiettivi tematici  della
programmazione, i risultati attesi e le azioni da realizzare  tramite
l'impiego dei fondi strutturali - e' stata  acquisita  la  preventiva
intesa della Conferenza unificata, ai sensi  dell'art.  8,  comma  6,
della legge 5 giugno 2003, n. 131, la quale fa  espresso  riferimento
alle citate risorse del FSC, nell'importo stanziato  nella  legge  di
stabilita' per l'anno 2013. 
    Ebbene, cosi' ricostruito il quadro normativo di  riferimento,  e
tenuto conto degli obiettivi della piu' volte menzionata Politica  di
Coesione e dei relativi strumenti di  attuazione,  appare  del  tutto
evidente come le previsioni di cui all'art. 1, comma 122, della l. n.
190 del 2014 siano del tutto lesive dei principi di cui all'art. 119,
comma quinto, Cost. 
    In particolare, tali disposizioni, nella parte in  cui  prevedono
che a copertura degli oneri correlati  agli  incentivi  previsti  dai
commi 118 e 121 ci si avvalga della  corrispondente  riprogrammazione
delle risorse del fondo di rotazione gia' destinate  agli  interventi
del Piano di Azione Coesione e non impegnate al  30  settembre  2014,
determinano una riduzione del complesso delle risorse  esclusivamente
destinate  a  sostenere  interventi  per  lo  sviluppo   delle   aree
sottoutilizzate. 
    Ed  infatti,  nella  norma  censurata  non  si   riviene   alcuna
indicazione da cui possa  desumersi  che  le  risorse  distratte  per
finanziare gli incentivi ai datori  di  lavoro  siano  esclusivamente
indirizzate a favore dei medesimi territori sottoutilizzati, e con la
medesima chiave percentuale di riparto prevista per il predetto Fondo
per lo Sviluppo e la Coesione (80% per le aree del Mezzogiorno e  20%
per le aree del Centro-Nord). 
    Invero,  la  rideterminazione  dell'ammontare  delle  risorse  da
destinare agli interventi per lo sviluppo e la  coesione  delle  aree
sottoutilizzate  deve  conformarsi  alle  previsioni  del  d.lgs.  n.
88/2011, in base al quale questa puo' essere effettuata  dalle  leggi
annuali di stabilita' successive a quella che  ha  preceduto  l'avvio
del ciclo pluriennale di programmazione, qualora si renda  necessario
soltanto  "in  relazione   alle   previsioni   macroeconomiche,   con
particolare riferimento all'andamento del PIL, e di finanza pubblica"
(art. 5) e a condizione che la nota di aggiornamento del DEF  indichi
i nuovi "obiettivi di convergenza economica delle aree  del  Paese  a
minore capacita' fiscale (...) valutando l'impatto  macroeconomico  e
gli effetti, in termini di convergenza, delle politiche di coesione e
della spesa  ordinaria  destinata  alle  aree  svantaggiate",  previa
acquisizione  del  parere  della   Conferenza   permanente   per   il
coordinamento della finanza pubblica di  cui  all'art.  5,  comma  1,
lett. a), della legge n. 42/2009. 
    Il rispetto del "principio  di  tipicita'  delle  ipotesi  e  dei
procedimenti attinenti la perequazione regionale" (Corte Cost.  sent.
n. 176/2012) impone, inoltre, al legislatore statale di  osservare  -
come normativa di attuazione dell'art. 119, quinto comma, Cost. -  la
legge n. 42/2009 in materia di federalismo fiscale, secondo la  quale
(art. 16, comma  1,  lett.  d))  "l'azione  per  la  rimozione  degli
squilibri strutturali di natura economica e sociale a sostegno  delle
aree  sottoutilizzate  si  attua   attraverso   interventi   speciali
organizzati in piani organici  finanziati  con  risorse  pluriennali,
vincolate nella destinazione". 
    In ulteriore specificazione dei principi della  richiamata  legge
n. 42/2009, poi, il d.lgs. n. 88/2011 stabilisce poi che la  politica
di riequilibrio economico e sociale  e'  perseguita  prioritariamente
con le risorse del FSC e con i finanziamenti a finalita'  strutturale
dell'UE "e i relativi cofinanziamenti nazionali" (art. 2, comma 1). 
    Alla luce di  tutto  quanto  sopra,  dunque,  risulta  del  tutto
evidente come nella riduzione delle risorse destinate agli interventi
del Piano di azione e coesione  lo  Stato  non  possa  legittimamente
invocare il titolo  competenziale  relativo  al  coordinamento  della
finanza pubblica, in ragione  di  un'incidenza  sproporzionata  degli
oneri derivanti dall'applicazione dell'art. 1, comma 122, della l. n.
190/2014 a  danno  dei  territori  interessati  dagli  interventi  di
perequazione e del conseguente effetto sperequativo  implicito  nella
disposta riduzione, in mancanza di ogni indice da cui possa trarsi la
conclusione  che  le  risorse  in  tal   modo   rifinalizzate   siano
esclusivamente indirizzate a favore dei territori sottoutilizzati. 
2. Illegittimita' dell'art. 1, commi 202 e 224 della l.  n.  190  del
2014, per contrasto con gli articoli 117, quarto comma,  119,  quinto
comma, 5 e 120 Cost. 
    2.1 Come sopra visto, il comma  202  detta  disposizioni  per  la
realizzazione delle azioni relative al  piano  straordinario  per  la
promozione del made in Italy e  l'attrazione  degli  investimenti  in
Italia, stanziando ulteriori finanziamenti nell'ambito dello stato di
previsione del Ministero dello sviluppo economico,  e  istituendo  un
Fondo per le politiche  per  la  valorizzazione,  la  promozione,  la
tutela, in Italia e all'estero, delle imprese e dei prodotti agricoli
e agroalimentari. 
    La norma  in  questione  e'  costituzionalmente  illegittima  per
violazione degli articoli 117, quarto comma, e 119 Cost. 
    Ed  infatti,  l'ambito  materiale   nel   quale   interviene   la
disposizione denunciata e' riconducibile  all'agricoltura  la  quale,
non  annoverata  tra  le  materie   tassativamente   riservate   alla
legislazione  statale  o  a  quella  concorrente,  e'  implicitamente
demandata  alla  potesta'  legislativa   residuale   delle   regioni.
Appartiene dunque alla  competenza  legislativa  residuale  regionale
l'adozione di misure di sviluppo e sostegno dell'agricoltura,  e,  in
quest'ambito,  la   disciplina   dell'erogazione   di   agevolazioni,
contributi, finanziamenti e sovvenzioni di ogni genere. 
    A tal  proposito,  il  costante  e  consolidato  orientamento  di
Codesta Ecc.ma Corte ha piu' volte ribadito come  "l'art.  119  della
Costituzione  ponga  precisi  limiti  al  legislatore  statale  nella
disciplina delle modalita' di finanziamento delle funzioni  spettanti
al sistema delle autonomie. 
    Innanzitutto, non sono consentiti  finanziamenti  a  destinazione
vincolata, in materie e funzioni la cui disciplina spetti alla  legge
regionale, siano esse rientranti  nella  competenza  esclusiva  delle
Regioni  ovvero  in  quella  concorrente,  pur  nel   rispetto,   per
quest'ultima, dei principi fondamentali  fissati  con  legge  statale
(sentenze numeri 16 del 2004 e 370 del 2003)" (Corte cost., sent.  n.
423/2004). 
    D'altronde, ove non fossero osservati tali limiti e  criteri,  il
ricorso  a  finanziamenti  ad  hoc  rischierebbe  di  divenire   "uno
strumento  indiretto,  ma  pervasivo,  di   ingerenza   dello   Stato
nell'esercizio delle funzioni delle  Regioni  e  degli  enti  locali,
nonche' di sovrapposizione di  politiche  e  di  indirizzi  governati
centralmente a  quelli  legittimamente  decisi  dalle  Regioni  negli
ambiti materiali di propria competenza" (Cosi', Corte cost., sent. n.
254/2013 e le ivi richiamate sentt. nn. 168/2008, 50/2008, 201/2007 e
118/2006). 
    In applicazione dei suindicati principi, pertanto, Codesta Ecc.ma
Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale di diverse  norme
con le quali,  successivamente  all'entrata  in  vigore  della  legge
costituzionale n. 3  del  2001,  sono  stati  istituiti  nuovi  Fondi
vincolati (in  particolare  e  a  titolo  esemplificativo,  il  Fondo
nazionale per il sostegno alla progettazione  delle  opere  pubbliche
delle Regioni e degli enti locali, nonche' il Fondo nazionale per  la
realizzazione di infrastrutture di interesse locale (sentenza  n.  49
del 2004);  il  Fondo  per  la  riqualificazione  urbana  dei  comuni
(sentenza n. 16 del 2004); il Fondo per gli asili nido  (sentenza  n.
370 del 2003), il Fondo per lo sviluppo  e  la  capillare  diffusione
della pratica sportiva (sentenza n. 254/2013)). 
    Stessa sorte deve pertanto essere riservata  al  Fondo  istituito
dal comma 202 qui censurato, con il quale  l'amministrazione  statale
attua politiche di sostegno che possono  e  devono  essere  decise  e
gestite esclusivamente  a  livello  regionale,  in  quanto  investono
materie di competenza regionale piena  (agricoltura),  o  al  massimo
concorrente (commercio con l'estero). 
    Ne' varrebbe, quale argomento idoneo a far ritenere inapplicabile
al  caso  di  specie  il  ricordato  orientamento  giurisprudenziale,
sostenere che l'intervento finanziario previsto dalla norma censurata
andrebbe attribuito al  novero  di  quelli  previsti  dall'art.  119,
quinto comma, Cost., secondo il quale e'  consentita  allo  Stato  la
destinazione   di   risorse   aggiuntive   agli   enti   locali   per
l'effettuazione di  interventi  speciali  volti,  fra  l'altro,  alla
rimozione degli esistenti squilibri economici e sociali. 
    Gli interventi speciali previsti  dall'art.  119,  quinto  comma,
infatti, non solo devono essere aggiuntivi rispetto al  finanziamento
integrale (art. 119, quarto comma) delle funzioni spettanti ai comuni
o agli altri enti, e riferirsi alle finalita' di  perequazione  e  di
garanzia enunciate nella norma costituzionale,  o  comunque  a  scopi
diversi dal  normale  esercizio  delle  funzioni,  ma  devono  essere
indirizzati a determinati enti o categorie di enti (comuni, province,
citta' metropolitane o regioni). 
    Ebbene, dalla analisi testuale della disposizione  censurata  non
emerge alcun indice da cui  desumere  l'esistenza  di  uno  specifico
ambito territoriale  di  localizzazione  dell'intervento  indubbiato,
rivolto, al contrario, alla generalita' delle imprese e dei  prodotti
agricoli e agroalimentari del Paese. 
    Pertanto, l'esigenza  di  rispettare  il  riparto  costituzionale
delle competenze legislative fra Stato e Regioni comporta che, quando
tali finanziamenti riguardino ambiti  di  competenza  delle  Regioni,
queste siano chiamate ad esercitare compiti di  programmazione  e  di
riparto dei fondi all'interno del proprio territorio. 
    Ne' tantomeno potrebbe invocarsi  la  giurisprudenza  di  Codesto
Ecc.mo Collegio  sulla  portata  della  "tutela  della  concorrenza",
attribuita alla  competenza  esclusiva  dello  Stato  dall'art.  117,
secondo comma, lett. e), Cost. 
    Tale   parametro,   infatti,   "evidenzia   l'intendimento    del
legislatore costituzionale del 2001 di unificare in capo  allo  Stato
strumenti  di  politica  economica  che   attengono   allo   sviluppo
dell'intero  Paese;  strumenti  che,  in  definitiva,  esprimono   un
carattere unitario e, interpretati gli uni  per  mezzo  degli  altri,
risultano tutti finalizzati  ad  equilibrare  il  volume  di  risorse
finanziarie inserite nel circuito economico. L'intervento statale  si
giustifica, dunque, per la sua rilevanza macroeconomica: solo in tale
quadro e' mantenuta allo Stato la facolta' di adottare sia specifiche
misure  di  rilevante  entita',   sia   regimi   di   aiuto   ammessi
dall'ordinamento comunitario (fra i  quali  gli  aiuti  de  minimis),
purche' siano in ogni caso idonei, quanto ad accessibilita'  a  tutti
gli operatori ed impatto  complessivo,  ad  incidere  sull'equilibrio
economico generale" (Corte cost., sent. n. 14/2004). 
    Differentemente, l'esame delle norme  impugnate  dimostra  che  i
finanziamenti in questione non possono rientrare in questo schema. 
    Questi ultimi sono,  invero,  del  tutto  inidonei  ad  «incidere
sull'equilibrio economico  generale»,  poiche'  privi  del  requisito
oggettivo dell'«impatto complessivo»: l'esiguita' dei mezzi economici
impegnati  nel  quadro  della  manovra  disposta   dalle   previsioni
impugnate (6 milioni di euro annui fino al 2016) esclude infatti  che
lo strumento prefigurato abbia rilevanza macroeconomica  (cfr.  sent.
n. 77/2005), ne' si intravede alcuna ipotetica esigenza unitaria tale
da giustificare la gestione centrale del finanziamento. 
    In via subordinata, nella denegata ipotesi in cui Codesto  Ecc.mo
Collegio  dovesse  ritenere   l'intervento   istitutivo   del   Fondo
giustificato per il suo carattere macroeconomico,  e  dunque  per  la
presenza  della  competenza  statale  in  materia  di  tutela   della
concorrenza, deve in ogni caso sottolinearsi  l'illegittimita'  della
disposizione impugnata per la mancata previsione, nella regolazione e
gestione del fondo, di una qualsivoglia forma di  collaborazione  con
le Regioni. 
    Infatti, incidendo la norma su  una  materia  regionale,  sarebbe
necessario  che  le  funzioni  statali  di  istituzione,  gestione  e
regolazione da essa previste fossero svolte in modo  da  tener  conto
del punto di vista della Regione e da coordinarsi con l'azione che la
Regione stessa svolge. 
    Codesta Ecc.ma Corte, infatti, a piu' riprese  ha  precisato  che
l'esercizio unitario che consente di attrarre insieme  alla  funzione
amministrativa anche quella legislativa, puo' aspirare a superare  il
vaglio  di  legittimita'  costituzionale  solo  in  presenza  di  una
disciplina che prefiguri un iter in cui assumono il dovuto risalto le
attivita' concertative e  di  coordinamento  orizzontale,  ovvero  le
intese, che devono essere condotte in  base  al  principio  di  leale
collaborazione (Cosi', ex multis, Corte cost.,  sentt.  nn.  182  del
2013 e 331 del 2010). Pertanto, la  norma  censurata  e'  illegittima
nella parte in cui non prevede forme di cooperazione con le Regioni e
di incisivo coinvolgimento delle stesse (cfr. Corte cost.,  sent.  n.
162 del 2005), essendo del  tutto  evidente  che  l'intervento  dello
Stato debba rispettare la sfera di competenza spettante alle  Regioni
in via residuale. 
    2.2  Considerazioni  non  dissimili  devono  essere  svolte   con
riferimento al comma 224, del citato art. 1, l. n. 190/2014. 
    Come visto nella  parte  in  "fatto",  il  precedente  comma  223
stabilisce che le risorse di cui all'art. 1, comma 83, della legge n.
147/2013,   finalizzate   a   favorire   il   rinnovo   dei    parchi
automobilistici destinati ai servizi di  trasporto  pubblico  locale,
regionale e interregionale, sono destinate all'acquisto di  materiale
rotabile su gomma. Conseguentemente, il comma 224 stabilisce che, con
decreto del  Ministero  delle  infrastrutture  e  dei  trasporti,  di
concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze,  sentita  la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province autonome di Trento e Bolzano, sono stabilite le modalita' di
attuazione dei commi 223 e 227, e la ripartizione  delle  risorse  su
base regionale secondo i criteri ivi indicati. 
    Ebbene, tali disposizioni si pongono in  evidente  contrasto  con
gli articoli 117, quarto comma, e con l'art. 119 Cost. 
    Non  e'  revocabile  in  dubbio,  infatti,  che  la  materia  del
trasporto  pubblico  locale  rientri  nell'ambito  delle   competenze
residuali delle regioni di cui al quarto comma dell'art.  117  Cost.,
come reso evidente anche dal fatto che, ancor prima della riforma del
Titolo V della Costituzione, il  d.lgs.  n.  422/1997  ("Conferimento
alle Regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia  di
trasporto pubblico locale, a norma dell'art. 4, comma 4, della l.  n.
59/1997") aveva  ridisciplinato  l'intero  settore,  conferendo  alle
Regioni e agli enti locali funzioni e  compiti  relativi  a  tutti  i
«servizi pubblici di trasporto di interesse regionale  e  locale  con
qualsiasi modalita' effettuati ed in qualsiasi  forma  affidati»,  ed
escludendo solo i trasporti di pubblici di interesse nazionale. 
    In questo stesso testo normativo, l'art.  20,  comma  5,  prevede
espressamente  che  le  risorse  statali  di  finanziamento  relative
all'espletamento delle funzioni conferite alle Regioni ed  agli  enti
locali siano «individuate e ripartite» tramite decreti del Presidente
del  Consiglio  dei  Ministri  «previa  intesa  con   la   Conferenza
permanente tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di  Trento
e Bolzano».  Come  gia'  ampiamente  sottolineato,  con  riguardo  ai
finanziamenti  statali  Codesta  Ecc.ma   Corte   costituzionale   ha
ripetutamente affermato che il legislatore statale non puo' porsi «in
contrasto con i criteri e i limiti che presiedono  l'attuale  sistema
di autonomia finanziaria regionale,  delineato  dal  nuovo  art.  119
della Costituzione, che non consentono  finanziamenti  di  scopo  per
finalita' non riconducibili a funzioni di spettanza  statale»  (Corte
cost., sent. n.  423  del  2004):  nell'ambito  del  Titolo  V  della
Costituzione non e' dunque di norma consentito allo  Stato  prevedere
propri finanziamenti in  ambiti  di  competenza  delle  Regioni,  ne'
istituire  fondi  settoriali   di   finanziamento   delle   attivita'
regionali. 
    Eccezioni  a  tale  divieto  sono  possibili,  come  gia'  detto,
soltanto nell'ambito e negli stretti limiti di quanto previsto  dagli
articoli 118, primo comma, 119, quinto comma, e 117,  secondo  comma,
lett. e), Cost. 
    Tuttavia, il quinto comma dell'art. 119 "autorizza  semplicemente
lo Stato, per conseguire le molteplici  finalita'  ivi  espressamente
indicate, ad attuare due specifiche e tipizzate forme  di  intervento
finanziario nelle materie di competenza delle Regioni  e  degli  enti
locali: o l'erogazione di risorse aggiuntive rispetto alla  ordinaria
autonomia finanziaria regionale o locale  (modalita'  questa,  pero',
che presuppone che lo Stato abbia dato previa attuazione  legislativa
a quanto previsto  dai  primi  quattro  commi  dell'art.  119,  cosi'
garantendo a Regioni, Province e Comuni che le loro entrate finanzino
«integralmente le funzioni pubbliche  loro  attribuite»);  oppure  la
realizzazione di «interventi  speciali»  «in  favore  di  determinati
Comuni, Province, Citta' metropolitane e Regioni» (cfr.  sentenza  n.
16 del 2004)" (Corte cost., sent. n. 222 del 2005). 
    Orbene, come evidente, l'art. 1, comma 224, della  legge  n.  190
del 2014 non e' riconducibile a quest'ultima tipologia di  intervento
a sostegno della finanza regionale o locale, non essendo  individuato
alcun  particolare  ente  destinatario:  la  norma  appare   pertanto
illegittima  poiche'  interviene,  finanziandolo,  in  un  ambito  di
competenza regionale. 
    Peraltro, e' altresi'  opportuno  sottolineare  come  anche  tale
disposizione   sia   altresi'   illegittima    sotto    il    profilo
dell'inadeguatezza delle  procedure  concertative  che  involvono  la
Regione. 
    Ed infatti, proprio perche' tale finanziamento interviene  in  un
ambito di  competenza  regionale,  la  necessita'  di  assicurare  il
rispetto  delle  attribuzioni  costituzionalmente  riconosciute  alle
Regioni impone  di  prevedere  che  queste  ultime  siano  pienamente
coinvolte nei processi decisionali concernenti il riparto dei fondi. 
    A tal riguardo, va dunque ritenuto  insufficiente  il  meccanismo
previsto dalla disposizione censurata, che - ai fini della emanazione
del decreto ministeriale per stabilire le modalita' di attuazione dei
commi 223 e 227 e la ripartizione delle  risorse  su  base  regionale
secondo i criteri individuati dal comma 224 - si limita a  richiedere
che sia «sentita» la Conferenza Stato-Regioni,  cosi'  riducendo  gli
spazi di autonomia riconosciuti alle Regioni nel complessivo  sistema
di finanziamento del trasporto pubblico locale. 
    E'  invece   costituzionalmente   necessario   che   il   decreto
ministeriale  cui  fa  riferimento  la  disposizione  impugnata   sia
adottato sulla base di una vera e propria intesa  con  la  Conferenza
unificata (cfr. la citata sentenza Corte  cost.  n.  222  del  2005),
strumento che meglio corrisponderebbe alle piu' intense modalita'  di
leale   collaborazione   richieste    dal    costante    orientamento
giurisprudenziale di Codesta Ecc.ma Corte. 
    Alla luce  di  quanto  sopra  detto,  risulta  evidente  come  le
disposizioni  censurate  violino  altresi'  il  principio  di   leale
collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost. 
3. Illegittimita' dell'art. 1, commi 421, 422 e 427 della l.  n.  190
del 2014, per contrasto con gli articoli 114, 117, 118,  119  e  120,
nonche' con gli articoli 3, 5 e 97 Cost. 
    3.1  Occorre  sin  da  subito  evidenziare  come  le  norme  oggi
impugnate ridondino in una grave illegittimita' per contrasto con  il
principio di ragionevolezza, nonche'  in  riferimento  agli  articoli
114, 117, 118, 119 e 120, e con gli articoli 5 e 97 Cost. 
    Come esposto nella parte in fatto, la disposizione del comma  421
prevede che la dotazione organica delle citta' metropolitane e  delle
province delle regioni a statuto ordinario e' stabilita, a  decorrere
dalla data di entrata in vigore della presente legge, in misura  pari
alla spesa del personale di ruolo alla  data  di  entrata  in  vigore
della legge n. 56/2014, ridotta, rispettivamente, tenuto conto  delle
funzioni attribuite ai predetti enti dalla medesima legge n. 56/2014,
in misura pari al 30 e al 50 per cento. 
    In base al comma 422,  il  personale  che  -  a  conclusione  del
processo di riordino - rimane assegnato  agli  enti  locali  di  area
vasta (citta' metropolitane e  nuove  province)  per  lo  svolgimento
delle funzioni non fondamentali ad  essi  attribuite  dallo  Stato  o
dalle  Regioni,  secondo  le  rispettive  competenze,  tenuto   conto
dell'art. 1, comma 89, della legge n. 56/2014,  e'  invece  personale
che viene posto al di fuori della dotazione organica. 
    Da ultimo, secondo  il  comma  427  gli  enti  destinatari  delle
funzioni non fondamentali, sulla base del riordino, si avvalgono  del
predetto personale al di fuori della dotazione organica  (che  rimane
in servizio presso le citta' metropolitane e le province  nelle  more
della conclusione delle procedure di ricollocazione e mobilita')  "in
caso di delega o di altre forme, anche convenzionali, di  affidamento
di funzioni" con necessaria e contestuale "assegnazione del  relativo
personale con oneri a carico dell'ente delegante o affidante,  previa
convenzione con gli enti destinatari". 
    Orbene,  e'  del  tutto  evidente  che  le  disposizioni  statali
impugnate  incidono  illegittimamente  sulla  sfera   di   competenze
legislative che la Costituzione riserva alle Regioni  in  materia  di
organizzazione delle funzioni. 
    Ed infatti, la regolamentazione della  dotazione  organica  degli
enti  locali  costituisce  il  nucleo  essenziale   dell'area   della
macro-organizzazione delle pubbliche amministrazioni (v. Corte  cost.
sent. 133/1996), la cui disciplina viene affidata in primo luogo alla
legge statale o regionale, sulla base  delle  rispettive  competenze.
Non  e'  dubbio,  a  questo   riguardo,   che   il   conferimento   e
l'organizzazione   dell'esercizio   delle   funzioni   delle   citta'
metropolitane e dei comuni spetti alla legge regionale, e che  spetti
ai   regolamenti   dei   medesimi   enti   locali   la    "disciplina
dell'organizzazione  e  dello   svolgimento   delle   funzioni   loro
attribuite" (art. 117, sesto comma, Cost.). 
    Ed  infatti,  la  competenza  esclusiva   statale   relativamente
all'organizzazione  degli  enti  locali  deve  limitarsi   a   quanto
disciplinato dall'art. 117,  comma  2,  lettera  p),  Cost.,  che  vi
annovera «legislazione  elettorale,  organi  di  governo  e  funzioni
fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane». 
    Codesta Ecc.ma Corte ha da  tempo  chiarito  (da  ultimo  con  la
citata sent. n. 44/2014) come il suddetto titolo competenziale  debba
essere  inteso  nel  senso  che   il   riferimento   deve   ritenersi
tassativamente rivolto agli Enti locali elencati all'art. 114  Cost.,
cosi' come tassativo e' il contesto  oggettivo  interessato,  che  si
sostanzia esclusivamente nella  disciplina  del  sistema  elettorale,
della forma di governo e delle funzioni fondamentali di detti enti. 
    Di  contro,  al  di  fuori   dell'ambito   materiale   come   ora
circoscritto, la regolamentazione degli Enti locali  deve  essere  di
certo ricondotta nella competenza residuale  delle  Regioni  ex  art.
117,  comma  4,  Cost.,  e  cio'  anche  al  fine  di  garantire   la
possibilita'  che   la   singola   Regione,   nel   ruolo   di   ente
rappresentativo  delle   diverse   istanze   presenti   sul   proprio
territorio, provveda all'adozione  di  previsioni  differenziate  che
tengano  in  adeguata  considerazione  le  esigenze  espresse   dalla
comunita'   di   riferimento,   in   osservanza   dei   principi   di
sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione  consacrati  nell'art.
118, comma 1, Cost. 
    Ebbene, e' allora  evidente  come  la  competenza  statale  debba
ritenersi circoscritta all'attribuzione delle funzioni  fondamentali,
mentre l'organizzazione della funzione, di cui la dotazione  organica
e'  fondamentale  strumento,   "rimane   attratta   alla   rispettiva
competenza  materiale  dell'ente  che  ne  puo'   disporre   in   via
regolativa" (Corte Cost., sent. n. 22 del 2014). 
    Ne' varrebbe,  ad  escludere  l'illegittimita'  delle  previsioni
impugnate,  invocare  esigenze  di   contenimento   della   spesa   e
coordinamento della finanza pubblica. 
    In tal senso, e' stato costantemente  affermato  che  l'obiettivo
del  contenimento  della  spesa  pubblica  rientra  nella   finalita'
generale del coordinamento finanziario (Cfr. Corte cost.,  sentt.  n.
27 e n. 156 del 2010, n. 237 e n. 284 del 2009, n. 159 e n.  289  del
2008, n. 417 del 2005 e  n.  4  del  2004),  e  sono  stati  pertanto
ritenuti  legittimi  interventi  del  legislatore  statale  volti  ad
imporre alle regioni vincoli alle politiche di bilancio  -  anche  se
indirettamente  incidenti  sull'autonomia  regionale  di   spesa,   a
salvaguardia  dell'equilibrio   unitario   della   finanza   pubblica
complessiva, e del  perseguimento  degli  obblighi  comunitari  (cfr.
sentt. n. 237 e n. 284 del 2009). 
    Altrettanto consolidato, tuttavia, e' il principio secondo cui il
sopra citato titolo  competenziale  sia  tale  da  escludere  che  un
intervento statale possa spingersi sino a dettare  un  disciplina  di
carattere meramente ordinamentale, potendosi  muovere  esclusivamente
nei  limiti  di  una  solo  parziale  compressione  delle  competenze
regionali.  In  tal  senso,   Codesta   Ecc.ma   Corte   ha   infatti
espressamente chiarito che "Norme statali  che  fissano  limiti  alla
spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi
fondamentali di coordinamento della finanza  pubblica  alla  seguente
duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi
di riequilibrio della medesima, intesi nel senso  di  un  transitorio
contenimento  complessivo,  anche  se  non  generale,   della   spesa
corrente; in secondo luogo,  che  non  prevedano  in  modo  esaustivo
strumenti o modalita' per il perseguimento  dei  suddetti  obiettivi"
(sent. n. 237 del 2009, citata; nello stesso senso, sent. n. 341  del
2009). 
    Di  conseguenza,  e'  del  tutto  evidente  che  deve   ritenersi
riservata alla potesta' statale  la  sola  previsione  di  un  limite
complessivo di spesa che faccia salva un'ampia discrezionalita' degli
enti territoriali nell'allocazione delle risorse tra i diversi ambiti
e obiettivi di spesa e nella scelta di eventuali tagli. 
    Peraltro, una manovra siffatta nell'ottica del contenimento della
spesa pubblica mostra tutta la sua irragionevolezza  laddove  dispone
una drastica riduzione del personale, "tenendo conto" del processo di
riordino delle funzioni disposto con la legge n. 56 del 2014. Ebbene,
non  si  vede  come  possa  effettivamente  tenersi   conto   di   un
procedimento di riordino  non  ancora  conclusosi,  a  fronte  di  un
obbligo di riduzione che, al contrario,  ha  acquistato  efficacia  a
partire dal 1° gennaio 2015. Si tratta, dunque, di un taglio  lineare
della dotazione organica delle citta' metropolitane e delle  province
disposta a priori e in maniera del tutto  indipendente  dal  riordino
delle funzioni  delle  vecchie  province,  spettante  al  legislatore
regionale. 
    Peraltro,  l'illegittimita'  delle  disposizioni  censurate   non
diminuirebbe ove le  si  interpretasse  nel  senso  di  ritenere  che
riguardino non il personale adibito alla  totalita'  delle  funzioni,
bensi' quello adibito esclusivamente a quelle fondamentali. 
    In  tale  prospettiva,  apparirebbe  totalmente  irragionevole  e
gravemente  lesivo  dei  poteri  regionali  di  organizzazione  delle
funzioni degli enti locali sul territorio regionale e dei  poteri  di
auto-organizzazione di quest'ultimi (art. 35, comma 7, del d.lgs.  n.
165/2001) disporre che la dotazione organica degli enti di area vasta
sia  esclusivamente  rivolta  all'esercizio   delle   loro   funzioni
fondamentali. Si impedirebbe in tal modo,  infatti,  l'esercizio  dei
poteri di macro-organizzazione (art. 2, comma 1, e art. 6 del  d.lgs.
n. 165/2001) necessari agli enti locali per svolgere in modo ottimale
i propri compiti istituzionali, che trovano  fondamento  nelle  leggi
regionali  di  conferimento   delle   funzioni   amministrative   non
fondamentali. 
    Nel caso di specie, in particolare,  il  taglio  della  dotazione
organica, non limitandosi ad una riduzione  percentuale  della  spesa
complessiva  per  il   personale,   ma   pretendendo   di   riferirsi
selettivamente alle singole funzioni amministrative  ai  cui  compiti
d'ufficio il personale  di  ruolo  e'  destinato  (le  sole  funzioni
fondamentali attribuite agli enti di area  vasta  direttamente  dalla
legge n. 56/2014) si trasformerebbe in uno strumento di  definizione,
oltre che della provvista del personale (ai fine del contenimento dei
costi),  anche  del  disegno  organizzativo  degli  enti.  Un  simile
intervento  si  porrebbe  in  aperta   violazione   dei   poteri   di
auto-organizzazione degli  enti  locali,  nonche'  del  principio  di
determinazione delle dotazioni organiche complessive in funzione  dei
compiti dell'amministrazione (art. 2, comma 1, lett. a, del d.lgs. n.
165/2001) cosi' come individuati dal legislatore  competente,  e  del
principio di flessibilita' dell'organizzazione  dei  pubblici  uffici
(art. 2, comma 1, lett. b, del d.lgs. n. 165/2001) in base  al  quale
la pubblica amministrazione, nell'esercizio dei poteri del datore  di
lavoro, puo' variare la collocazione del personale sulla  base  delle
professionalita' possedute a dotazione organica complessiva  immutata
(Cassazione civile, sez. lavoro, 15 maggio 2006, n. 11103). 
    Dalla collocazione del  personale  che  svolge  le  funzioni  non
fondamentali  al  di  fuori  della  dotazione  organica   complessiva
conseguirebbe, dunque, oltre alla violazione degli articoli 114,  117
e 118 Cost., anche  la  violazione  dei  principi  costituzionali  di
ragionevolezza della legge e di buon  andamento  dell'amministrazione
di cui agli articoli 3 e 97 Cost. 
    Peraltro, sotto diverso profilo, dal combinato disposto di quanto
previsto dalle predette disposizioni della legge  n.  190/2014  cosi'
come  da  ultimo  interpretate,  si  ricaverebbe,  inoltre,  che   il
personale che rimane  assegnato  alle  citta'  metropolitane  e  alle
province, sulla base del processo di'  riordino  delle  funzioni  non
fondamentali, e' collocato al di fuori della dotazione organica delle
rispettive amministrazioni. 
    Una   norma   sifatta   appare   del   tutto   irragionevole    e
discriminatoria. 
    Essa,  infatti,  sarebbe  del  tutto  irragionevole  in   quanto,
generalmente,  la  collocazione   del   personale   delle   pubbliche
amministrazioni al di fuori della dotazione  organica  si  ha  o  per
incarichi ad alta specializzazione a tempo  determinato  (v.  ad  es.
art. 108 e art. 110, d.lgs. n. 267/2000) o in caso di ruoli  speciali
ad esaurimento (v. ad  es.  art.  12,  legge  n.  730/1986),  ma  non
costituisce misura organizzativa  adeguata  e  proporzionata  per  lo
svolgimento di funzioni e di compiti attribuiti o conferiti agli enti
per il normale adempimento dei propri compiti istituzionali conferiti
con legge regionale. E cio' conformemente a quanto previsto dall'art.
118, secondo comma, della Costituzione e in applicazione delle  norme
generali  sull'ordinamento   del   lavoro   alle   dipendenze   delle
amministrazioni pubbliche  in  necessaria  attuazione  dell'art.  97,
primo comma, della Costituzione (art. 1, comma 1, e art. 6, comma  1,
d.lgs. n. 165/2001). 
    La richiamata normativa apparirebbe, inoltre, discriminatoria  in
quanto differenzia,  in  modo  non  giustificabile,  l'organizzazione
degli uffici delle citta' metropolitane e delle province in  base  al
solo titolo di conferimento - statale o regionale  -  delle  funzioni
assegnate, anziche'  in  funzione  dei  compiti  da  svolgere  previa
verifica degli effettivi fabbisogni  (art.  6,  comma  1,  d.lgs.  n.
165/2001), in contrasto con gli articoli 3, 97, 117,  secondo  comma,
lett. p), 118, secondo comma, 117, sesto comma, della Costituzione. 
    3.2 Il richiamato comma 427 appare  illegittimo  anche  sotto  un
ulteriore profilo. 
    Infatti, esso dispone che i comuni  (oltre  le  regioni)  possono
"delegare"  o  "affidare"   funzioni   amministrative   alle   citta'
metropolitane  e  alle  province,  cosi'  ponendosi   in   insanabile
contrasto - salve le forme di esercizio associato delle  funzioni  su
base  convenzionale  -  con  l'art.   118,   secondo   comma,   della
Costituzione,  che  riserva  alla  legge,   secondo   le   rispettive
competenze, il conferimento delle funzioni amministrative  agli  enti
locali. 
    Inoltre, la predetta  norma,  laddove  qualifica  in  termini  di
"delega" e "affidamento" i conferimenti delle funzioni e, allo stesso
tempo, in termini di "avvalimento"  i  correlativi  trasferimenti  di
personale, dispone  -  in  evidente  antinomia  con  quanto  previsto
dall'art.  118,  secondo  comma,  Cost.  -  che  le  regioni  possono
"delegare" le funzioni amministrative  alle  citta'  metropolitane  e
alle province, senza trasferire a  tali  enti  la  titolarita'  delle
funzioni, e dunque assegnando, il relativo personale a titolo di mero
avvalimento. 
    Che  il  termine  "conferimento"  si  interpreti  nel  senso   di
comprendere il trasferimento, la delega e l'attribuzione di  funzioni
si ricava agevolmente dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.  59/1997
che, per la prima volta, ha introdotto e definito il termine medesimo
(successivamente ripreso e riproposto dall'art. 4, della legge  cost.
n. 3 del 2001 che ha sostituito l'art. 118 della  Costituzione).  E',
inoltre, l'art. 118, secondo comma (nel testo  attualmente  vigente),
che chiarisce, al di la' di ogni dubbio, che  gli  enti  locali  sono
titolari  delle  funzioni  comunque  conferite  successivamente  alla
riforma  del  Titolo  V  nel  2001  (risultando  irrilevante  che  il
conferimento  sia  qualificato  come  attribuzione,  trasferimento  o
delega). 
    Ne deriva, sul piano della necessaria  attuazione  costituzionale
(art. 1, commi 89 e 92, della legge n. 56/2014), che per  l'esercizio
delle funzioni e dei compiti  conferiti  debbano  essere  (o  debbano
rimanere) trasferite  le  occorrenti  risorse  di  personale  con  le
corrispondenti risorse  finanziarie,  gia'  spettanti  alle  province
(art. 1, comma  96,  legge  n.  56/2014),  necessarie  a  "finanziare
integralmente le funzioni pubbliche"  attribuite  (art.  119,  quarto
comma, Cost.). Cio' anche  al  fine  di  impedire  che  possa  essere
indotta  artatamente  dalla  legge  dello   Stato,   in   forza   del
sotto-finanziamento delle funzioni, una situazione di squilibrio  nei
bilanci degli enti territoriali in violazione dell'art. 5 e dell'art.
119, primo comma, della Costituzione. 
    La legge statale non puo' dunque limitare il potere delle regioni
di  conferire  le  funzioni  con  il  conseguente  trasferimento  del
personale e delle risorse necessarie alle citta' metropolitane e alle
province per lo svolgimento delle funzioni medesime. 
    Peraltro, le richiamate  disposizioni  della  legge  n.  190/2014
risultano altresi' lesive del principio di  leale  collaborazione  di
cui agli articoli 5 e 120, secondo comma, della  Costituzione,  nella
misura  in  cui  si  discostano  da   quanto   gia'   precedentemente
determinato,  "per  l'individuazione  dei  beni   e   delle   risorse
finanziarie,   umane,   strumentali    e    organizzative    connesse
all'esercizio delle funzioni che devono essere trasferite", dal  DPCM
26  settembre  2014,  adottato  previa  intesa  con   la   Conferenza
unificata, in forza della legge n. 56/2014 (art. 1, commi 89 e 92). 
4. Illegittimita' dell'art. 1, commi 552 e 554 della l.  n.  190  del
2014, per contrasto con gli articoli 117 e 118, e  col  principio  di
leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost. 
    Il comma 554 sostituisce il comma 1-bis, dell'art. 38,  del  D.L.
n.  133/2014,  relativo  ad  attivita'  di  prospezione,  ricerca   e
coltivazione di idrocarburi e stoccaggio di gas naturali. Tale ultima
disposizione  prevede  che  tali  attivita'  rivestano  carattere  di
interesse  strategico  e  siano  di  pubblica  utilita',  urgenti   e
indifferibili. I relativi titoli abilitativi, dunque, comprendono  la
dichiarazione  di  pubblica  utilita',  indifferibilita'  ed  urgenza
dell'opera e l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio  dei
beni in essa compresi. Il comma 554 qui censurato,  nell'inserire  il
suddetto comma 1-bis a tale articolo, prevede che "Il Ministro  dello
sviluppo  economico,  con  proprio  decreto,  sentito   il   Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, predispone un
piano delle aree in cui sono consentite le attivita' di cui al  comma
1. Il piano, per le attivita' sulla terraferma,  e'  adottato  previa
intesa con la Conferenza unificata. In caso di mancato raggiungimento
dell'intesa, si provvede con le modalita' di cui  all'art.  1,  comma
8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239". 
    In modo analogo, la lettera b) del comma 552, art. 1, della l. n.
190 del 2014 introduce il comma 3-bis all'art. 57 del D.L. n. 5/2012,
che disciplina il caso in cui non vengano raggiunte le intese con  le
regioni   interessate   relative   alle   autorizzazioni    per    le
infrastrutture energetiche strategiche rilasciate dal  Ministero  per
lo sviluppo economico. Anche tale disposizione  rinvia,  in  caso  di
mancato raggiungimento delle intese suddette, alle modalita'  di  cui
all'art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239/2004. 
    In primo luogo, e' necessario sottolineare che l'art. 38 del D.L.
n. 133/2014 e' stato oggetto di impugnativa da  parte  della  Regione
Campania  (delibera  d'impugnativa  n.  685  del  2014).   La   nuova
formulazione introdotta con il comma 554  oggi  censurato  e'  dunque
evidentemente consequenziale a tale impugnativa (unitamente a  quelle
di altre regioni), e appare volta a rimuovere un motivo  di  evidente
illegittimita' della disposizione. 
    Tuttavia, tale modifica non puo' in ogni caso dirsi satisfattiva. 
    Ed infatti, entrambe le disposizioni che qui  ci  occupano  fanno
espresso richiamo, come visto, all'art. 1, comma 8-bis  della  l.  n.
239/2004, il quale prevede che "nel caso di  mancata  espressione  da
parte delle amministrazioni regionali degli  atti  di  assenso  o  di
intesa, comunque denominati, inerenti alle funzioni di cui ai commi 7
e 8 del presente articolo, entro il termine di centocinquanta  giorni
dalla richiesta nonche' nel caso di mancata  definizione  dell'intesa
di cui al comma 5, dell'art. 52-quinquies del testo unico di  cui  al
decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, e  nei
casi di cui all'art. 3, comma 4, del decreto  legislativo  1°  giugno
2011, n. 93, il Ministero dello sviluppo economico invita le medesime
a provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni. In  caso
di  ulteriore  inerzia  da  parte  delle  amministrazioni   regionali
interessate, lo stesso Ministero rimette gli atti alla Presidenza del
Consiglio  dei  Ministri,  la  quale,  entro  sessanta  giorni  dalla
rimessione, provvede in merito con la  partecipazione  della  regione
interessata". 
    Ebbene, e' opportuno sottolineare come tale  ultima  disposizione
ricalchi l'art. 49, comma 3, lett. b) del D.L. n. 78/2010, dichiarato
illegittimo da Codesta Ecc.ma Corte per violazione degli articoli 117
e 118 Cost., e del principio  di  leale  collaborazione.  Tale  norma
prevedeva infatti che, nel caso di  motivato  dissenso  da  parte  di
un'amministrazione preposta alla tutela ambientale,  paesaggistico  -
territoriale, del patrimonio storico-artistico o  alla  tutela  della
salute e della pubblica incolumita', ove non  fosse  stata  raggiunta
l'intesa entro il termine di trenta giorni il Consiglio dei  Ministri
avrebbe potuto deliberare in esercizio del proprio potere sostitutivo
con la partecipazione dei presidenti delle regioni o  delle  province
autonome interessate. 
    Secondo il richiamato orientamento giurisprudenziale, infatti, il
soddisfacimento  di  esigenze  unitarie  legittima  l'intervento  del
legislatore statale anche in ordine alla disciplina  di  procedimenti
complessi  estranei  alla  sfera  di  competenza  esclusiva  statale,
giustificando l'attrazione allo Stato, per ragioni di sussidiarieta',
sia dell'esercizio concreto della funzione amministrativa  che  della
relativa regolamentazione  nelle  materie  di  competenza  regionale.
Tuttavia, tale intervento "deve obbedire  alle  condizioni  stabilite
dalla giurisprudenza costituzionale, fra le  quali  questa  Corte  ha
sempre annoverato la presenza di adeguati strumenti di coinvolgimento
delle Regioni. In particolare, si  e'  affermato  che  «l'ordinamento
costituzionale impone il conseguimento di una necessaria  intesa  fra
organi statali e organi regionali per  l'esercizio  concreto  di  una
funzione amministrativa attratta in sussidiarieta' al livello statale
in materie di competenza legislativa» (sentenza n. 383  del  2005)  e
che tali «intese costituiscono condizione  minima  e  imprescindibile
per  la  legittimita'  costituzionale  della  disciplina  legislativa
statale che effettui la "chiamata in sussidiarieta'" di una  funzione
amministrativa  in  materie  affidate  alla  legislazione  regionale»
(Corte cost., sent. n. 179 del 2012). Deve trattarsi, dunque, di vere
e proprie  intese  "in  senso  forte",  ossia  di  atti  a  struttura
necessariamente bilaterale, come tali non  superabili  con  decisione
unilaterale di una delle parti, che  garantiscano  "idonee  procedure
per consentire reiterate trattative volte a superare  le  divergenze"
(ex plurimis, sentenze n. 121 del 2010, n. 24 del 2007,  n.  339  del
2005)". 
    Alla luce di tali principi, non puo' dunque  ritenersi  legittima
una norma che contenga una "drastica  previsione"  della  decisivita'
della volonta' di una sola parte, in caso di dissenso. Al  contrario,
solo nell'ipotesi di ulteriore esito negativo dell'espletamento delle
"idonee procedure" di collaborazione potra' essere rimessa al Governo
la   decisione   unilaterale.   Allorquando,   invece,   l'intervento
unilaterale dello  Stato  viene  prefigurato  come  mera  conseguenza
automatica del mancato  raggiungimento  dell'intesa,  e'  violato  il
principio di leale collaborazione con  conseguente  sacrificio  delle
sfere di competenza regionale. 
    Ebbene, anche l'art. 38, comma 1-bis del D.L.  n.  133/2014  oggi
impugnato per come modificato dal comma 554,  richiamando  l'art.  1,
comma 8-bis della l. n. 239/2004 reca la «drastica previsione»  della
decisivita' della volonta' di una sola parte, posto che il  Consiglio
dei  ministri  delibera  unilateralmente  in  materie  di  competenza
regionale, allorquando, a seguito del  dissenso  dell'amministrazione
regionale sull'intesa, il tentativo di addivenire all'accordo non sia
avvenuto entro ulteriori trenta giorni. 
    Non  solo,  infatti,  il  termine  e'  cosi'  esiguo  da  rendere
oltremodo complesso e difficoltoso lo svolgimento di una qualsivoglia
trattativa,  ma  dal  suo  inutile  decorso  si  fa   automaticamente
discendere l'attribuzione al Governo del potere di deliberare,  senza
che siano previste le necessarie  «idonee  procedure  per  consentire
reiterate trattative volte a superare le  divergenze»  (Corte  cost.,
sent. n. 179 del 2012). 
    Ne', d'altro canto, la previsione che il Consiglio  dei  ministri
delibera,  in  esercizio  del  proprio  potere  sostitutivo,  con  la
partecipazione delle regioni interessate,  «puo'  essere  considerata
valida sostituzione  dell'intesa,  giacche'  trasferisce  nell'ambito
interno di un organo costituzionale  dello  Stato  un  confronto  tra
Stato e Regione, che deve necessariamente  avvenire  all'esterno,  in
sede di trattative ed accordi, rispetto ai quali le parti siano poste
su un piano di parita'» (Corte cost., sent. n. 165 del 2011). 
    Per  tali  ragioni  appare  necessario  rinnovare   l'impugnativa
dell'art. 38, comma 1-bis, terzo periodo, del D.L. n. 133/2014, cosi'
come sostituito dal comma 554, dell'art. 1, della legge n. 190/2014. 
5. Illegittimita' dell'art. 1, comma 580 della l. n.  190  del  2014,
per contrasto con gli articoli 5, 118 e 120 Cost. 
    Sotto diverso profilo, il comma 579 prevede che le regioni  e  le
province provvedano alla costituzione dei nuovi organi degli Istituti
zooprofilattici sperimentali entro il termine di sei mesi dalla  data
di entrata in vigore  delle  leggi  regionali  di  riordino  di  tali
Istituti, adottate in applicazione dell'art. 10, comma 1, del  d.lgs.
n. 106 del 2012. Il successivo comma 580 stabilisce poi che, in  caso
di mancato rispetto del termine indicato, il  Ministro  della  salute
provveda alla nomina di un commissario. 
    La  sostituzione  del  Ministro   della   salute   alle   diverse
amministrazioni titolari  del  potere  di  nomina  appare  ledere  il
principio di leale collaborazione sancito  dagli  articoli  5  e  120
Cost. 
    Si evidenzia, infatti, che il ricorso al  potere  sostitutivo  di
cui all'art. 120, secondo comma,  Cost.,  rappresenta  uno  strumento
eccezionale di intervento che presuppone  una  voluta  inerzia  degli
enti titolari dei poteri non attuati. 
    Appaiono quindi lesi i principi  di  sussidiarieta'  e  di  leale
collaborazione sanciti dagli articoli 118 e 120 Cost., per i quali la
coesistenza di  vari  livelli  di  governo  sul  territorio  comporta
inevitabilmente la necessita' di individuare forme di  collaborazione
e  di  concertazione,  al  fine  di  evitare  ogni  possibilita'   di
insorgenza di conflitti sul piano amministrativo. 
    L'esercizio del potere amministrativo  deve  compiersi  -  sempre
secondo l'art. 120 - in base alle procedure stabilite dalla  legge  a
garanzia dei principi di sussidiarieta'  e  di  leale  collaborazione
(Corte cost., sent. n. 165 del 2011). 
    La  Regione  inadempiente,  infatti,  nel   vigente   ordinamento
costituzionale, non perde la competenza a disciplinare la materia  di
propria spettanza ne' prima - ancorche' il termine per provvedere sia
scaduto, ne' dopo l'effettivo esercizio del potere sostitutivo. 
    E' pacifico infatti che quest'ultimo non altera il  quadro  delle
competenze costituzionalmente  previsto  (diversamente,  ad  esempio,
dalla chiamata  in  sussidiarieta'),  ma  e'  istituto  pacificamente
rivolto a favorire l'applicazione delle legge da parte  del  soggetto
ordinariamente  competente  e  non  ad   ostacolarne   l'adempimento,
ancorche' tardivo. Ne deriva il  carattere  necessariamente  cedevole
degli atti sostitutivi.